Isteria

Le mie opere spesso giocano con la leggerezza e la fragilità apparente dei materiali, nascondendo al loro interno temi profondi e dolorosi. Isteria nasce proprio da questa tensione: un’installazione a parete composta da 441 forcine per capelli, ciascuna piegata e deformata a mano, poi disposte con precisione a formare un grande rettangolo. Da ogni sagoma di metallo emergono ombre delicate, quasi impalpabili, che amplificano la presenza silenziosa ma potente dell’opera.

Le forcine non sono semplici oggetti di uso quotidiano: per me rappresentano un simbolo femminile, evocando la morbidezza e la forza dei capelli lunghi e intrecciati. Il progetto ha avuto origine da un gesto spontaneo: stringere e deformare una forcina mentre ascoltavo le notizie sulle proteste contro l’hijab obbligatorio in Iran. In quel momento, la piccola struttura piegata tra le dita è diventata un riflesso della tensione e della resistenza, un segno tangibile della pressione esercitata su chi lotta per la propria libertà.

Da questa intuizione, ho iniziato a coinvolgere altre persone, chiedendo loro di deformare una forcina seguendo il proprio impulso. Ognuna porta con sé una storia, un’esperienza, un frammento di sé. L’insieme delle forcine piegate diventa così un’opera collettiva, dove la deformazione non è più solo un atto di fragilità, ma una forma di resistenza e trasformazione.

In Isteria, la bellezza emerge dalla distorsione, dall’asimmetria, dall’apparente caos. È un’opera che racconta il paradosso della vita: la sofferenza può generare forza, l’oppressione può trasformarsi in ribellione, e l’individualità, anche nella sua fragilità, può dar vita a un coro potente. Una semplice azione diventa simbolo di resilienza, trasformando il dolore in espressione e la deformazione in una nuova forma di armonia.

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